Cosa accomuna il “vecchio” Lock con il “nuovo” Lock? La velocità, il superamento dei confini di genere e la presenza di ballerini superlativi in compagnia.
Il recupero delle punte ha attirato varie critiche di chi sostiene che questo sia in contrasto con il marchio dei La La La Human Steps. Lock però afferma che bisogna assumersi dei rischi, bisogna essere pronti a cambiare, a buttare via il passato per andare avanti. Le punte, per il coreografo, sono il mezzo per aumentare ulteriormente la rapidità dei danzatori.
Il passaggio dai primi lavori al nuovo stile non è improvviso. Nella fase di transizione assistiamo a performance dove gli elementi tipici dei primi lavori, come acrobazie mozzafiato ed estetica punk-rock, convivono coi nuovi aspetti.
Emblema dei nuovi lavori è lo spettacolo Amelia del 2002 che è stato definito “capolavoro poetico” e anche “la creazione più compiuta e seducente” tra i lavori di Edward Lock.
Le origini di Amelia si trovano in un incontro di più di due decenni fa del coreografo con due travestiti che, come afferma lo stesso Lock, erano in un costante stato di teatralità senza essere in teatro. Questo incontro lo affascina e si imprime fortemente nella sua memoria. Dunque in Amelia vita quotidiana e teatralità si mixano, per la prima volta Lock utilizza in modo teatrale i suoi ricordi.
Anche la musica si ispira a quella ascoltata dal coreografo durante il periodo in cui frequentava i due travestiti: scritta da David Lang, su testi di Lou Reed è molto meno aggressiva rispetto alle precedenti opere essendo scritta per piano, violino, violoncello e voce. Ma la vena rock di Lock è sempre presente, nonostante sia meno evidente. Per esempio il pezzo per il primo passo a due è una versione per violino e voce femminile di “I’m waiting for the man” dei Velvet Underground, gruppo rock degli anni 60/70. Di Amelia viene creata anche una versione cinematografica di cui Lock cura regia e coreografia. Lo spettacolo viene ricollocato all’interno di una costruzione lignea, senza spigoli, con gli angoli smussati che vanno a creare una continuità tra suolo e pareti.

Grazie alla telecamera il coreografo/regista può analizzare da vicino i particolari di pose, dettagli del corpo dei danzatori, può rallentare o velocizzare i movimenti, può offrire prospettive diverse di una stessa sequenza. Il risultato dunque è qualcosa di completamente diverso rispetto allo spettacolo teatrale.
Interessante l’utilizzo delle luci assolutamente autonomo e non sottomesso alla coreografia, non necessariamente Lock decide di illuminare i danzatori o il punto in cui si svolge la coreografia, crea anzi zone di luce e di ombra entrambe attraversate dai danzatori.

La prospettiva da cui osserviamo il film è continuamente mutata come se Lock col suo montaggio ci guidasse ad osservare le cose da angolature diverse, più interessanti o ci suggerisse di concentrarci su di un particolare. Per esempio fa girare la telecamera attorno ad una danzatrice in posa e ci da così una visione a 360 gradi della stessa, come si ha girando attorno ad una statua in un museo, cosa che non potremmo mai avere con la visione frontale del teatro.

Altro espediente cinematografico è l’uso del rallenty utilizzato per esempio durante la ripresa delle scarpette da punta della danzatrice che corre sulla superficie lignea e durante il salto, di cui invece ci da una visione di insieme. L’intenzione sembra quella di analizzare passo per passo tutti i movimenti della ballerina durante la presa. L’utilizzo del respiro inserito direttamente nella traccia musicale sottolinea ulteriormente il movimento: la danzatrice inspira prima di spiccare il volo per espirare solo quando viene afferrata dalle mani del partner. L’effetto è che lo spettatore è portato a trattenere il respiro durante il salto per poi rilassarsi quando lei viene bloccata, sentendosi così maggiormente coinvolto nella coreografia.

L’idea di creare un film che avesse come protagonista la danza non poteva che sorgere spontaneamente nella mente di Lock avendo lui una doppia sensibilità: quella per il corpo in movimento e quella per le belle arti, anche neo-tecnologiche. Ciò che viene creato grazie al connubio tra danza e videocamera non è un prodotto simile a quello teatrale ma qualcosa di completamente nuovo. Amelia ha vinto numerosi premi nell’ambito della video-danza tra cui DanceScreen nel 2006.
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